Due recenti pronunce della suprema corte hanno acceso nuovamente i riflettori sul coordinamento a volte difficoltoso tra imponibilità (e non imponibilità) degli elementi attivi non di competenza – le c.d. sopravvenienze attive - con altre regole e principi dell’ordinamento tributario.
A mente dell’articolo 88 del TUIR sono considerate sopravvenienze attive – e dunque fiscalmente rilevanti nella definizione dell’imponibile ai fini IRES –“ i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nonché la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.”
Tutte e tre le casistiche individuate dal primo comma dell’articolo citato individuano le c.d. “sopravvenienze attive proprie”, vale a dire componenti straordinarie correlate a componenti di reddito iscritti in precedenti esercizi e che in questi avevano avuto rilevanza fiscale.
In termini più generali, come affermato in dottrina e ribadito da risalenti documenti di prassi, affinché possa configurarsi una sopravvenienza imponibile, il componente negativo di reddito eliminato da cui promana la sopravvenienza stessa deve essere stato dedotto fiscalmente in un precedente esercizio; l’eliminazione di costi che non hanno trovato riconoscimento fiscale, invece, non comporta generalmente alcuna sopravvenienza attiva, quantomeno ai fini fiscali.
Tale ultimo elemento, la piena rilevanza fiscale in precedenti esercizi dell’onere, utilizzato come discrimine per determinare il destino di imponibilità dell’elemento sopravvenuto, non esaurisce i suoi effetti in questo ambito.
Ad esempio, l’ordinanza n. 17068 del 14/06/2023 afferma la necessità del coordinamento tra l’imponibilità della sopravvenienza e il riconoscimento della deduzione del costo dalla cui eliminazione ha avuto luogo, concludendo nel caso esaminato per la piena legittimità della richiesta di rimborso presentata dal contribuente a seguito dell’accertamento della non deducibilità del costo.
Più in particolare, la maggiore imposta derivante dalla sopravvenuta indeducibilità di un costo era stata definita mediante adesione al PVC, ma lo stesso costo era già stato eliminato dalla contabilità del contribuente generando una sopravvenienza attiva tassata ai fini IRES e IRAP.
Il contribuente, dunque, successivamente all’adesione al PVC, aveva presentato istanza di rimborso motivata da violazione del divieto di doppia imposizione, il quale era stato però negato dall’Agenzia delle Entrate, la quale sosteneva che l’accertamento definito con adesione al PVC non può essere soggetto a modifica, per cui al contribuente sarebbe stata preclusa la possibilità di richiedere il rimborso di somme che riteneva non dovute.
I supremi giudici hanno tuttavia ritenuto che proprio il pagamento effettuato a seguito dell’adesione al PVC per il recupero a tassazione del costo indeducibile aveva generato una doppia imposizione, tale da determinare un indebito oggettivo derivante dalla maggiore imposta versata per effetto della sopravvenienza collegata al costo divenuto così indeducibile.
Nella sostanza, ferma rimanendo l’intangibilità dell’accordo in adesione, da questo discendeva in automatico, ma con effetti sulla successiva dichiarazione relativa al periodo di imposta in cui la successiva cancellazione del costo era avvenuta, la doppia imposizione in capo alla sopravvenienza attiva, da cui l’indebito oggettivo e il conseguente pieno diritto al rimborso a favore del contribuente.
Altra recente interessante pronuncia è rappresentata dalla sentenza n. 19945, del 12 luglio 2023 che, nel confermare i requisiti necessari affinché possa essere definita imponibile una sopravvenienza attiva ai sensi dell’art. 88 comma 1 del TUIR, ne ha precisato le connessioni con la presunta cancellazione di un costo reputato come inesistente.
Il caso affrontato è relativo alla richiesta imponibilità da parte dell’Agenzia delle Entrate di una sopravvenienza non contabilizzata e accertata a causa del mancato ricevimento delle fatture in esercizi successivi a quelli di stanziamento del relativo costo.
I giudici ritengono che la nozione di sopravvenienza attiva presupponga che la spesa già iscritta in bilancio sia reale ed esistente e che successivamente la sua effettività sia venuta meno o che abbia subito una variazione quantitativa favorevole al contribuente. Ad avviso dei giudici invece, ciò non ricorre nel caso di una posta passiva iscritta in bilancio ma inesistente perché documentata da atti o fatture false materialmente o ideologicamente o giuridicamente non dotate dei requisiti formali per essere portate in deduzione.
Le conclusioni debbono ovviamente essere contestualizzate nel caso oggetto di pronuncia: l’ufficio, infatti, a fronte di oneri stanziati per fatture da ricevere contestava negli esercizi successivi l’omessa contabilizzazione della sopravvenienza attiva in conseguenza della mancata ricezione delle fatture a comprova del costo.
I giudici sostengono che il mero trascorrere del tempo non possa integrare la prova necessaria a rilevare l’omessa contabilizzazione di un ricavo, basandosi esclusivamente sulla carenza degli elementi di esistenza del costo dalla cui cancellazione o, meglio, dal cui disconoscimento di esistenza, dovrebbe discendere.
In conclusione, entrambe le pronunce ribadiscono il principio cardine dell’imponibilità delle sopravvenienze attive conseguente alla previa deduzione dell’onere cancellato o diminuito, ma coordinano tale irrinunciabile elemento con i principi generali del divieto di doppia imposizione e dell’onere della prova.