Con riferimento alle spese sostenute per le sponsorizzazioni, la Corte di Cassazione si è recentemente espressa chiarendo ancora una volta quando tali spese, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, sono riconducibili a spese di rappresentanza e quando, invece, queste sono da considerarsi come spese di pubblicità.
Occorre innanzitutto premettere che, ai sensi dell’art. 108 del d.p.r. 917/1986, le spese di rappresentanza si distinguono da quelle di pubblicità in funzione degli obiettivi perseguiti da chi le sostiene. In particolare, mentre le prime sono sostenute con l’intento di accrescere il prestigio dell’impresa, senza l’obiettivo di ottenere benefici economici, le seconde rappresentano spese finalizzate ad ottenere vantaggi in termini di aumento delle vendite e altri benefici di tipo commerciale.
Il regime in questione è stato oggetto di un’importante rivisitazione con la Legge Finanziaria 2008, con efficacia per le spese sostenute a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007. Come si potrà ricordare, infatti, la normativa previgente non forniva una chiara definizione per tali spese, lasciando libero arbitrio al contribuente in ordine alla classificazione, limitandosi a prevedere un regime di parziale deducibilità per le spese di rappresentanza in maniera forfettaria, nella misura di un terzo del loro ammontare ed in quote costanti nell’esercizio in cui le medesime erano state sostenute e nei quattro successivi. Tuttavia, era possibile interpellare il Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive (successivamente soppresso), il quale forniva pareri in merito alla corretta qualificazione tra le spese per pubblicità e propaganda (interamente deducibili) o spese di rappresentanza (parzialmente deducibili).
Con l’introduzione della nuova disciplina, sono state definite le casistiche rientranti nella categoria ed introdotti specifici criteri per la classificazione delle spese, quali l’inerenza rispetto all’attività d’impresa, nonché la congruità, al fine di fissare un limite quantitativo di deducibilità che dipenda dall’ammontare dei ricavi realizzati dall’impresa rispetto all’ammontare delle suddette spese. Infine, sono state individuate determinate categorie di spese (viaggi, vitto e alloggio dei clienti) che non sono considerate come spese di rappresentanza anche se sostenute nell’ambito di eventi organizzati nello svolgimento dell’attività d’impresa.
Nell’ordinanza n. 26368 depositata lo scorso 12 settembre, i giudici di legittimità hanno esaminato la controversia tra il contribuente e l’Agenzia delle Entrate, la quale aveva negato la deducibilità delle spese per la sponsorizzazione nei confronti di una associazione sportiva dilettantistica in virtù di un contratto tra le parti. Sotto il profilo della classificazione delle spese i giudici condividono l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, la quale, nella circolare 34/2009, ha evidenziato che le spese di sponsorizzazione si differenziano da quelle di rappresentanza per la presenza di un corrispettivo o di una specifica controprestazione da parte dei destinatari dei beni o servizi erogati.
Per quanto attiene ai requisiti di inerenza e congruità, i giudici, in linea con i principi dettati dall’art. 108 del d.p.r. 917/1986, osservano che laddove non viene dimostrata la riconducibilità delle spese ad una diretta aspettativa di ritorno commerciale, queste devono essere considerate come di rappresentanza e come tali devono essere sottoposte ai limiti di deducibilità imposti dall’art. 108 del d.p.r. 917/1986.
Gli stessi giudici, richiamando quanto stabilito dall’art. 90 comma 8 della L.298/2002 invocato dal contribuente, ricordano che l’unico caso in cui opera la presunzione legale di deducibilità si ha quando vengono effettuate spese per un importo non superiore a 200.000 euro a favore di determinati soggetti (associazioni sportive ecc.), a condizione che: