Durante il Consiglio dei ministri del 30 marzo 2021, il Governo ha approvato lo schema di Decreto legislativo in materia di lavoro (attualmente all’esame delle commissioni parlamentari), volto ad assicurare “condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea” in attuazione della direttiva (UE) 1152 del 2019. Esso impatta fortemente su diversi aspetti lavoristici, primo fra tutti, l’obbligo di informazione del datore di lavoro contenuto del d.lgs 157/1997, prevedendo un ampliamento sia della sfera dei soggetti interessati (includendo, oltre ai lavoratori dipendenti, anche collaboratori coordinati e continuativi, a progetto ed occasionali), sia dei dati da rendere noti.
Ad oggi la consueta modalità di assunzione prevede un contratto scritto tra le parti, ovvero tra datore di lavoro e dipendente, da consegnarsi al lavoratore all’atto dell’assunzione dove, in modo sintetico, vengono descritte le principali condizioni di lavoro, quali: sede di lavoro, tipo assunzione, se a tempo determinato o indeterminato, orario di lavoro, livello di inquadramento, retribuzione, nel caso di particolari mansioni, si informa della possibilità di trasferte, mentre per tutta la restante disciplina del rapporto è fatto esplicito rimando al contratto collettivo applicato dall’azienda.
Lo schema presentato introduce novità riguardo l’obbligo informativo del datore di lavoro circa le condizioni di lavoro, la durata del periodo di prova, la possibilità per il dipendente di svolgere un impiego parallelo al di fuori dell’orario di lavoro, così come la prevedibilità minima della prestazione di lavoro; insomma, questo testo prevede una serie dettagliata di informazioni su tutti gli elementi fondamentali del rapporto di lavoro e sulle condizioni di lavoro e della relativa tutela.
In pratica, i datori di lavoro sia pubblici che privati dovranno, qualora la direttiva europea venisse recepita così com’è, inserire nei contratti di assunzione tutte quelle informazioni previste dai Ccnl di riferimento, che ancora oggi invece vengono omesse facendo esplicito rimando al contratto di appartenenza. Riportiamo qui solo una parte delle specifiche da esporre, oltre a quelle già obbligatorie, in caso di approvazione del decreto nella sua veste originaria:
- le condizioni riguardo l’eventuale straordinario e la sua retribuzione;
- le procedure riguardo i cambiamenti di turno, se previsti da contratto;
- la durata delle ferie;
- la durata degli eventuali congedi retribuiti cui ha diritto il lavoratore;
- il diritto a ricevere la formazione finanziata dal datore di lavoro;
- la durata del preavviso e la relativa procedura, evidenziando le differenze tra il recesso da parte del datore di lavoro e da parte del lavoratore;
- gli Enti e gli Istituti ai quali vengono versati i contributi previdenziali ed assicurativi dovuti dal datore di lavoro;
- il contratto collettivo nazionale applicato al rapporto di lavoro, con l’indicazione delle parti che lo hanno sottoscritto;
- gli eventuali contratti collettivi di secondo livello (territoriali e/o aziendali) applicati al rapporto di lavoro, con l’indicazione delle parti che li hanno sottoscritti.
Si tratta di un panorama di informazioni vastissimo che tocca molteplici aspetti del lavoro: dalle trasferte al lavoro all’estero, l’obbligo di informare il lavoratore nel caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati e così via.
Il datore di lavoro dovrebbe fornire tali dati all’atto dell’assunzione, salvo la possibilità di integrare quanto non espressamente previsto nel contratto di assunzione, per i dati principali, entro 7 giorni dall’inizio della prestazione (sempre in forma scritta), per altri dettagli entro 30 giorni.
In sostanza questo schema, ripetiamo ancora in esame al Parlamento, per quanto nell’intento condivisibile, appesantisce e non di poco gli obblighi di comunicazione già previsti dal decreto legislativo 152/1997, aumentando notevolmente anche le sanzioni amministrative connesse all’inadempimento (fino a 1.500 euro per ogni lavoratore).
Come già anticipato all’inizio, allo stato attuale il datore di lavoro è già tenuto ad informare il lavoratore sugli aspetti principali del rapporto previsti dalla contrattazione collettiva, tramite contratto scritto, ma per i singoli dettagli si inserisce, in genere, la dicitura “per quanto non espressamente indicato nel presente contratto, si rimanda al CCNL applicato”.
Premesso che lo schema della direttiva Ue 2019/1152 non dà la possibilità al datore di lavoro di ottemperare all’obbligo di informazione semplicemente facendo riferimento al Ccnl applicato al rapporto di lavoro, questo comporta che, se da un lato il contratto di assunzione diventa “completo, chiaro e trasparente”, dall’altro, in caso di modifica di disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle clausole del contratto collettivo, il datore di lavoro non è tenuto successivamente ad integrare il contratto ed a comunicare al lavoratore le variazioni della disciplina.
Un’altra discordanza che emerge riguardo lo schema di decreto è la perdita di semplificazione che di recente, invece, abbiamo visto come obiettivo principale delle ultime norme, attraverso provvedimenti e accordi voluti dal legislatore e dalle parti sociali come, ad esempio, il lavoro agile. Ed è ovvio poiché il datore di lavoro ad ogni assunzione dovrà elencare tutti i contenuti di legge e del Ccnl nel contratto, con il rischio peraltro che tali ripetizioni creino confusione nell’ interpretazione e, ancor peggio, le informazioni fornite individualmente in fase di assunzione vengano superate nel corso del rapporto da nuove disposizioni, come normalmente già avviene.
È dunque augurabile che lo schema di decreto venga analizzato al meglio allo scopo di risolvere le numerose criticità e complessità del testo.