APPRENDISTATO E RISARCIBILITÁ A FAVORE DEL DATORE DI LAVORO
Con sentenza del 9 febbraio 2024 n. 1646, il Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, intervenendo in materia di apprendistato, ha posto piena attenzione sulla fattispecie della risoluzione anticipata per volontà dell’apprendista stesso.
Sul tema, in via preliminare, ricordiamo che l’apprendistato si configura come un contratto di lavoro subordinato e a Tempo Indeterminato introdotto dal DL del 15 giugno 2015 n. 81.
Tale forma contrattuale si articola in tre tipologie:
- Apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale;
- Apprendistato professionalizzante;
- Apprendistato di alta formazione e ricerca.
Nonostante ognuna di queste abbia delle caratteristiche ben specifiche e diverse l’una dall’altra, la peculiarità che, invece, le accomuna è la Formazione.
Infatti, nonostante l’apprendistato si configuri tra le forme contrattuali a tempo indeterminato, il periodo di formazione si contraddistingue per la durata di tre anni (o diversa se stabilita dai vari CCNL applicabili), terminati i quali il contratto prosegue senza necessità di alcuna comunicazione.
La formazione dovrà essere formalizzata nel Piano Formativo Individuale e sarà suddivisa in:
- Interna: presso l’azienda purché questa possieda requisiti di “Capacità Formativa”, che si concretizzano nella capacità di erogare formazione attraverso strumenti e materiali idonei a trasferire le competenze per l’acquisizione delle conoscenze aziendali;
- Esterna: presso gli operatori istituzionalmente preposti alla formazione.
La sentenza qui analizzata, la n. 1646, tratta proprio l’aspetto della formazione.
Nel caso specifico il Tribunale di Roma ha riconosciuto legittima la clausola inserita nel contratto avente natura risarcitoria che prevedeva la trattenuta (restituzione) in capo al dipendente apprendista, di una somma pari alla retribuzione per ogni giornata di formazione impartita nel caso in cui quest’ultimo avesse esercitato il recesso anticipato; secondo il tribunale, infatti, l’inserimento di tale clausola vale come patto di stabilità.
Il patto di stabilità (noto come clausola di durata minima garantita) è un accordo che, generalmente, nell’ambito del lavoro dipendente rientra fra le cd. Clausole Vessatorie (art. 1341 c.2 C.C) ovvero tutte quelle condizioni che determinano una sproporzione sostanziale tra prestazione e controprestazione; tale configurazione ne sancisce la loro nullità a meno che queste non vengano sottoscritte in modo autonomo e distinto rispetto alla firma del contratto originario a dimostrazione che il contraente debole abbia consapevolmente accettato la clausola.
La limitazione solitamente riconducibile alla presenza delle cd. Clausole Vessatorie non trova riscontro nel caso in esame (ovvero correlata alla formazione per l’apprendistato), in quanto la previsione del meccanismo risarcitorio è giustificata dal dispendio economico sostenuto dal datore di lavoro per la formazione del lavoratore.
LAVORO SPORTIVO ED ULTIME NOVITÁ
Dall’approvazione del D. Lgs. n. 36/2021 il quadro normativo della riforma del lavoro sportivo è stato oggetto di innumerevoli integrazioni, correttivi e chiarimenti. Gli ultimi interventi introdotti con il DL del 31 maggio 2024 n. 71 con entrata in vigore il giorno successivo, hanno riguardato:
- I dipendenti pubblici che contestualmente prestano attività nell’ambito del settore sportivo;
- I lavoratori volontari.
Relativamente al punto 1) prima dell’ultimo intervento in trattazione i dipendenti pubblici aventi collaborazioni con organizzazioni sportive dovevano preventivamente ottenere l’autorizzazione dall’Ente pubblico di appartenenza. Dinanzi a questo vincolo il lavoratore si è spesso visto negare l’autorizzazione nel caso di svolgimento di collaborazioni retribuite autorizzandole solo eventualmente se di natura occasionale.
L’intervento in analisi ha disposto il venir meno della preventiva autorizzazione nel limite dei € 5.000 annui, infatti sino a tale importo è sufficiente che il lavoratore sportivo comunichi preventivamente la collaborazione all’Ente pubblico di appartenenza.
Relativamente al punto 2) prima dell’ultimo intervento legislativo, il decreto lgs. n. 36/2021 aveva abrogato la possibilità per gli enti sportivi di erogare rimborsi forfettari di cui all’art. 67, primo comma, lettera m) del Tuir, chiarendo che i volontari potevano ricevere esclusivamente il rimborso delle spese relative a vitto, alloggio, viaggio e trasporto sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale nel limite di € 150,00. L’intervento normativo entrato in vigore lo scorso 1° giugno ha nuovamente abrogato la disciplina dei rimborsi in autocertificazione reintroducendo quello dei rimborsi forfettari con le seguenti caratteristiche:
- Innalzamento della soglia da € 150,00 ad € 400,00;
- Sono previsti esclusivamente per le attività prestate in occasione di manifestazioni sportive riconosciute ed autorizzate dalle relative Federazioni di appartenenza.
PERIODO DI COMPORTO NEL LAVORO SUBORDINATO
Recentemente la Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza n. 15845 è andata a trattare il tema, molto delicato, del Licenziamento per superamento del periodo di comporto.
Il periodo di comporto è quel periodo nel quale il lavoratore si assenta dal posto di lavoro (per malattia e/o per infortunio) e durante il quale il Datore di Lavoro non può procedere al licenziamento.
A disciplinarlo è l’articolo 2110 c.c. rimandando poi ai vari CCNL di categoria la determinazione del periodo massimo (diversificato tra i vari Livelli di inquadramento e dell’anzianità di servizio), una volta superati tali periodi l’azienda è legittimata ad intimare il licenziamento.
Nel caso specifico la Cassazione si è dovuta esprimere nell’ambito di una vicenda processuale, nella quale il lavoratore veniva licenziato dal proprio datore in quanto quest’ultimo ha ritenuto che i giorni di ricovero ospedaliero e di accesso al pronto soccorso dovessero essere conteggiati nel cd. Periodo di comporto.
La cassazione, in realtà, non ha fatto altro che confermare quanto già enunciato sia in Primo Grado che in Appello, ovvero rigettando tutti i motivi indicati nel ricorso presentato dal Datore, ritenendo che la nozione di “ricovero” presente nel contratto collettivo deve essere interpretata in modo più ampio, comprendendo anche gli accessi al pronto soccorso e che quindi questi non vadano conteggiati al fine del computo del periodo di comporto, donando quindi alla normativa vigente una interpretazione più estensiva.
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